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Alimentazione quotidiana e alimentazione festiva a Castelluccio di Norcia
Alimentazione quotidiana

Da quanto emerge dalle interviste l’alimentazione di tutti i giorni a Castelluccio era considerata particolarmente frugale, monotona, ripetitiva, a base di legumi, come la roveglia, la lenticchia e il farro, di formaggio e di pane.

...l’acquacotta era il pane bagnato co la cipolla e il baccalà, e il pane bagnato. La mattina a colazione l’acquacotta oppure il pane bagnato co la ricotta de pecora (Caterina Cappelli)

...noi mangiavamo sempre le stesse cose, il castrato. Mangiavamo le lenticchie, facevamo le tajatelle fatte in casa, la mattina se uno se alzava se faceva l’acquacotta con il baccalà e le patate. Questo ce magnavamo sempre, tutta la settimana (Miranda Coccia)

L’acquacotta, come la panzanella, era il pasto giornaliero dei pastori, a base di pane raffermo che in questo modo veniva riutilizzato. La ricetta non era unica, ognuno metteva quello che aveva in casa.

...se usava allora la panzanella, se faceva co la cipolla, coll’aglio pure veniva fatta, poi ce mettevi l’olio, poco che costava tanto. Poi mamma faceva la ciammella, la pizza sbattuta, una cosa fatta coll’ovi e pochissima farina, era una cosa molto delicata che quanno la mettevi al forno dovevi sta attenti, perché poco poco che la toccavi, quanno pijava e se n’annava giù, era dolce, una specie de crema (Americo Salvucci)

...se cucinava la polenta, la farecchiata, le lenticchie, li facioli, tutte ste robbe così, naturali. Se faceva la zuppa co le patate, co la lenticchia, se faceva l’acquacotta co lu baccalà, la roveja che sarebbero li piselli bastardi, se faceva co le patate, poi un po’ de pasta, era come una minestra. Poi il farro, tutte ste cose naturali (Erminia Pasqua)

La farecchiata è una pietanza che ha come ingrediente principale la farina di roveglia, o piselli selvatici, è molto simile alla polenta : in passato la roveglia veniva coltivata a Castelluccio.

...la produzione nostra era soprattutto la farecchiata, li piselli bastardi, dialettale la farecchiata, il farro, la polenta, sti piselli se chiamava la roveja (Matteo Brandimarte)

...dunque, allora su se mangiava, tutti i giorni, minestra con facioli, con lenticchie, co patate, insomma una volta una cosa, una volta un’altra. I piselli bastardi, noi je dicevamo la roveja, ce facevamo la farecchiata, però se mangiavano pure così, come legume, come li facioli, le lenticchie. Poi c’era la polenta, insomma ste robbe qui (Riccardo Testa)

...tutti i giorni, la mattina, la socera o la moglie se alzava, metteva a cuocere la pila col fuoco, a bollì co la lenticchia, co li facioli, ce metteva due patate, una cotica, e poi ce faceva la cena, perché doveva bollì tutto il giorno la pila, vicino al fuoco. Pe pranzo se metteva il caldaio de rame sul foco, che c’era la catena, bolliva l’acqua e ce se metteva la pasta (Giannina Argenti)

La pasta veniva lavorata tutta a mano, raramente si acquistava. C’erano diversi tipi di pasta fatta in casa, senza o con uova, quest’ultima più saporita. Solitamente si faceva la domenica o nei giorni di festa.

...l’alimentazione dunque, lo più che s’usava era la polenta, la minestra fatta a casa, non so se dico bene noi li chiamevamo li ciciarelli che sariano li quadrettini, li tajolini, li maccaroni fatti a casa. Come pastasciutta se mangiava tanta poca perché non c’era. S’addoperava l’orzo da caffè, lo farre, la roveja, la lenticchia (Luca Bertoni)

...doppo la pasta fatta in casa, quella era ecco una festa, che era la domenica che se facevano ste tajatelle, poi durante la settimana non è che annavi a comprà la pasta. Però normalmente se facevano i ciciarelli, che erano sempre sta pasta fatta coll’ovi e tajata tutta quanta a quadrettini, fina, fina e ce se faceva la pasta e facioli, ste cose così. I frascarelli, erano sempre impastati però senza ova, ne sapevano meno de quelli coll’ova perché non ce stava niente, solo l’acqua e la farina (Americo Salvucci)

Molte volte una stessa pietanza, se avanzata, veniva riscaldata per la colazione, per il pranzo e per la cena, perché non c’era altro da mangiare.

...facevamo la polenta che poi se rescaldava pel pranzo, cena e colazione (Miranda Coccia)

...sennò se faceva una bella polentata, se faceva a gnocchetti con un po’ de sta robba de strutto de maiale, una sarsiccia. Quella era per il pranzo, poi la ripassavi a cena, poi tante volte pure a colazione se ripassava, perché latte e caffè non è che se mangiava tanto, altro companaio non c’era, allora se pijava sta polenta e la mattina se rescallava su la graticola (Giannina Argenti)

I pasti giornalieri erano poveri anche quantitativamente, mangiato il primo raramente c’era un secondo piatto.

...eppoi doppo non ce costumava come adesso che se mangia primo, secondo, contorno, prima era poco. Quanno che t’eri mangiato la pastasciutta o la minestra, appresso pure una mela, un po’ de castagne, qualche cosa così, prima l’usanza era questa qui (Erminia Pasqua)

...pe secondo, se era una famiglia un po’ agiata, c’era tipo l’inverno, un po’ de sarsiccia, oppure il farato che sarebbe il sanguenaccio de maiale, oppure un pezzetto de coppa, ma era raro (Giannina Argenti)

Quasi mai si comprava della frutta fresca per mancanza di danaro, al massimo si mangiavano delle castagne o dell’uva secca tenuta appesa nelle cantine durante l’inverno e che venivano acquistate in grandi quantità in autunno.

...poi se pijava una soma de uva, una soma sarebbero stati venti chili, se annava co le biconze, se pigliavano sti venti chili de uva e se metteva a seccare, su le soffitte, su le cantine. Se pigliavano mezzo quintale de castagne, se pigliavano mezzo quintale de mela, tutte ste cose che se potevano mantenè, pe tutto l’inverno. Il vino uguale, se pigliava sto vino e se teneva pe tutto l’inverno (Giannina Argenti)

...come frutta niente, doppo piano, piano venivano da la parte de Arquata, de Pretare co lo mulo, co due bigonce e portavano trenta, quaranta chili de frutta. Ma mica la vendeva tutta, recalava co tutta la frutta ed eravamo tanta gente, circa settecento abitanti ; invece mò nun ce stà niciuno, se vanno su tre camio de frutta, la pijano tutta (Luca Bertoni)

..era un’alimentazione povera, perché non c’era altro, il mangià era scarso perché vitamine non c’erano, la frutta non c’era (Giannina Argenti)

Quelle pietanze che, un tempo si era costretti a mangiare per mancanza di possibilità di scelta, oggi sono richieste ed apprezzate dai turisti che d’estate affollano Castelluccio.

...la farecchiata adesso la faccio al ristorante, ancora la faccio, ce vengono apposta. Viene fatta tipo polenta, poi se condisce con l’aglio, il pepe, l’olio e l’alici. E così l’acquacotta, ce vengono apposta, io faccio tutti cibi antichi, se non li faccio me li fanno fa, ce vengono apposta da lontano pe mangià sta robba (Giannina Argenti)

La carne veniva mangiata di rado, se era possibile nei giorni di festa o alla domenica, nei giorni feriali non la comprava nessuno.

...quanno se macellava la carne più che altro se vendeva la domenica o a le feste, nei giorni normali non la comprava nessuno, e se vendeva così a pezzi non se facevano tante scelte come oggi, se prendeva un castrato, una pecora, un agnello se spezzava in quattro, se dava un pezzo per ciascuno
(Mario Coccia)

...la domenica chi ce l’ia la carne se la magnava, e chi non ce l’ia mica l’annava a comprà (Caterina Cappelli)

...la carne poca, una volta alla settimana, la domenica (Erminia Pasqua)

...no, ma la carne su non se comprava quasi mai (Matteo Brandimarte)

...mio padre era macellaio, allora quando che la carne se rovinava bisognava mangialla, allora Castelluccio era pieno, il paese, allora la compravano due, tre volte alla settimana (Conti Maddalena)

Ogni famiglia allevava animali da cortile che costituivano una buona fonte alimentare.

...i sordi pe comprà la carne non ce stavano, allora o ammazzavi un pollo o ammazzavi una gallina, oppure se c’avevi le mucche se mungeva il latte
(Americo Salvucci)

...la carne se mangiava poco, non c’era modo, doppo la gallinella, mettevi la biocca che te poteva fa dieci, dodici pulcinelli, te magnavi lo pollastrello
(Riccardo Testa)

Dalle interviste emerge che la carne bovina a Castelluccio non si mangiava mai.

...la mucca mai, prima non ce usava, chi se la mangiava mai, mò, mò ce usa
(Caterina Cappelli)

...la vitella prima noi non ce costumava perché dovevamo venì a Norcia a prendela, e non è che ce se teneva tanto (Erminia Pasqua)

...la carne, specialmente de vaccina, assolutamente niente (Luca Bertoni)


Le mucche erano utilizzate nei lavori agricoli, il latte bovino serviva per la produzione di formaggio misto e per il fabbisogno famigliare.

...de le mucche se prendeva il latte, se usavano pe lavorà i campi, pe arà, ammazzà non se ammazzavano (Matteo Brandimarte)

...noi co le mucche ce facevamo il latte pe fa il formaggio, li vitelli se vendevano, e chi l’ammazzava ! ..adesso li ammazzano, ma ai tempi mia mai, a Castelluccio chi la mangiava mai la mucca. Co le mucche ce lavoravi, c’erano quelle bianche che erano proprio da lavoro, ce aravamo, mica c’erano li trattori, ce andavi a fa le semine, a fa li campi, ce seminavi il grano, la lenticchia, l’orzo, il farro (Eligia Testa)

A Castelluccio non esisteva un macello abbastanza attrezzato per la lavorazione di bestie così grandi come le mucche.

...la mucca no perché non se poteva macellà lassù, non c’era il macello pe le mucche, e poi doppo che facevi mangiavi una mucca che pesava tre, quattro quintali (Maddalena Conti)

...la vacca poca, poca non ce se veniva a compralla a Norcia. Come robba de vitellone niente, sto vitellone è venuto fori da poco, pure qui a Norcia se mangiava poco (Riccardo Testa)

Se una mucca moriva prima di essere macellata, a differenza delle altre bestie, non veniva mangiata ma si preferiva gettarla.

...no, niente mucca a quei tempi, anche se una mucca se moriva, non se mangiava, come li musulmani, così noi, c’avevamo una mentalità che la carne de mucca non era bona. Appena che se vedeva che il maiale stava male, se ammazzava subito, la mucca no, la facevano morì. La pecora se moriva, se magnava lo stesso, la mucca veniva buttata perché era una cosa che non se conosceva (Giannina Argenti)

A Castelluccio, paese di pastori, si mangiava soprattutto carne di pecora, più facile da macellare e da mantenere. La carne di pecora costava meno di quella di mucca, comunque la quantità acquistata era sempre poca.

...se macellavano le pecore, è facile che una volta al mese capitava qualcuna de scarto, ce stava una specie de macello che ammazzava qualche pecora ma se ne comprava tanta poca (Matteo Brandimarte)

...su se ammazzavi una pecora, perché ce stava quel macelletto che c’è adesso però vendeva sempre pecora, castrato, agnelli, però se ne comprava poca de carne (Eligia Testa)

:...era sempre carne de pecora, sempre crastato (Erminia Pasqua)

...ammazzavi una pecora e ce facevano da mangià, per esempio, co le cosce ce facevi le fettine, lu macinato pe li cannelloni, le lasagne, li maccheroni perché il sugo veniva bono, sennò ce facevi il brodo co la stracciatella, oppure li ciciarelletti fatti a casa, allora non se comprava niente de pasta
(Maddalena Conti)

...c’era un macellaio a Castelluccio che ammazzava una pecora ogni dieci, quindici giorni. L’ammazzava privatamente mica co tutte ste regole che ce stanno mò. E poi la vendeva, però pe vendela quella pecora, la padrona je toccava ii casa pe casa dicendo "ho ammazzata una pecoretta, un po’ de carne bona venitela a pijà", sennò non ce iva nessuno a pijalla perché non è che non je piaceva, però non c’erano li sordi pe pijalla (Luca Bertoni)

La carne veniva macellata la mattina e venduta il giorno stesso. I frigoriferi non c’erano, la carne si manteneva nelle cantine che nei mesi invernali, per le abbondanti nevicate, diventavano dei veri congelatori.

...io macellavo soltanto castrato, agnelli che se vendevano subito, poi l’inverno era freddo, è come fosse stato su una ghiacciaia, i frigoriferi non ce costumavano su, però non ce servivano. Su se mantiene se macelli una bestia, un castrato lo poi tenè anche quindici, venti giorni. Su l’estate bisognava fa presto, nel giro de tre, quattro giorni, ma poi c’avevamo delle cantine che se poteva tenè anche una settimana, ma maggiormente la carne se vendeva fresca, fresca, la mattina se macellava la bestia e il giorno se vendeva
(Mario Coccia)

Più famiglie si mettevano d’accordo per l’acquisto a mezzi di una pecora, la quale veniva consumata nell’arco di pochi giorni.

...se s’ammazzava qualche pecora, sennò una volta alla settimana, ogni quindici giorni, perché allora non c’erano sti frigoriferi, ste cose qui, allora che succedeva ammazzavi una pecora, allora se riusciva a fa mezza una famiglia e mezza un’altra, però durava due, tre giorni, poi basta perché non se poteva mantenè, non è che potevi ammazzanne un’altra, non era il tempo
(Lucia Cappelli)

Della pecora, come del maiale, non si buttava via niente. Con il sangue, con la testa e con la pancia si faceva la scannatura.

...era povero però era ricco perché non ce l’avevi sempre, a Castelluccio non se comprava niente, de una bestia se recuperava dal sangue alle budellina, era tutto pregiato perché era povero, però era tanto perché non c’era niente, qualsiasi cosa che se recuperava era tanta (Giannina Argenti)

...vendevamo pure la scannatura che era il sangue, era l’interiore della bestia, era la panza e la testa, quella era chiamata la scannatura (Erminia Pasqua)

...la scannatura se mangiava, la scannatura sarebbe stata quanno che il macellaro te diceva " viè su va che te do la scannatura", se intendeva il sangue, la pancia, la trippa e la testa della pecora (Riccardo Testa)

...poi te mangiavi la scannatura che era il sangue delle pecore, se lessava co li budelli, ce se faceva la frittata, se faceva un soffritto (Giannina Argenti)

...quanno se ammazzava una pecora allora se prendeva la testa, la trippa, la scannatura, pure le budella, era un mangià, specialmente se uno lo cucinava bene, era un mangià de lusso (Matteo Brandimarte)

...poi c’era la scannatura che è il sangue, la trippa e la testa co tutto il cervello della pecora (Maddalena Conti)

Oggi la scannatura non si mangia più, a quei tempi si acquistava perché costava molto poco, a volte il macellaio la regalava alle famiglie più disagiate. Era un piatto povero che richiedeva molto tempo per la preparazione.

...a quell’epoca se faceva pure, che questo assolutamente non è usato più e manco userà più, che quanno ammazzavano questa pecora, la padrona annava pe le case dicenno " ma te serve la scannatura ?", la scannatura consisteva il sangue, la testa e la panza della pecora. E con questa, specialmente le famiglie povere, siccome costava pochissimi soldi, la pijavano pè sfamà la famiglia. Ma ce dovevi lavorà tanto, perché specialmente la trippa pe pulilla ce voleva una eternità (Luca Bertoni)


...ce voleva tanto perché il sangue lo lessavi, la trippa la dovevi votà, poi raschialla bene, pulilla e poi doppo lessalla, la testa quella la cocevi, quello che ce potevi reccapezzà (Matteo Brandimarte)

...se la compravano prima, ce voleva tanto pe cucinalla, se la compravano i più poveri (Maddalena Conti)

...la compravano perché costava poco, però ce voleva molto lavoro, il sangue lo dovevi lessare coll’acqua, la trippa c’era da pulilla, poi la lessavi nell’acqua, la testa uguale, se doveva spezzà e lavalla pe bene, questo se lo compravano i più poveri (Erminia Pasqua)

...costava poco oppure niente, tante vorte te la regalava (Riccardo Testa)

Della bestia macellata non si buttava via nulla, non c’erano possibilità di acquisto allora quando c’era l’occasione di mangiare della carne si mangiava tutto.


...beh noi je dicevamo la treccia, che sarebbe il budello, quello lungo, così dentro a la bestia, e quello è un pezzo de budello grasso, quello lo pulisci, lo arrosti, è buonissimo insomma, lo coci su la graticola col sale, il pepe lo fai scolà bene, è come la ‘nnoia. Poi quanno che se ammazzavano gli agnelli giù le Maremme, lì c’erano le limmelle del petto e del core, che se mangiavano così crude. Le limmelle è la mejo carne, so dei malloppetti che stanno sul petto e sul core, quelle so privilegiate. A me me sa mejo la pancia, le budella che lo vitellone, che la fettina, le fettine non se possono mangià (Riccardo Testa)

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Dott.ssa
Annamaria Onori
 
 
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