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Usi Medici Popolari a Castelluccio di Norcia
Usi Medici Popolari

Come contributo alla conoscenza delle tradizioni nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini versante umbro) per la valorizzazione e diffusione della propria cultura popolare.

Riunisco in queste pagine i risultati dell’inchiesta folclorica sulla medicina popolare compiuta nell’estate 2003 a Castelluccio di Norcia. Una riproduzione meramente descrittiva che non vuole assolutamente avere il pregio di dare ai fatti registrati alcuna prospettiva storico-folclorica.

Nel corso dell’inchiesta, all’indagine diretta è stata affiancata l’opera di testi di storia locale. Per le patologie da curare con la medicina popolare si è preferito non seguire il criterio di domande prestabilite ma, si è scelto di lasciar parlare liberamente le donne e li uomini protagonisti, che, quando interrogati sul “perché di taluna costumanza” l’elemento caratterizzante la risposta di tutti è stata:“è tradizione e non altro”. Nella raccolta documentaria di usi medici popolari è stato impossibile risalire alle origini. Le informazioni sembrano, piuttosto, risalire ad una tradizione orale propria; confermata dal fatto, ad esempio, che tutti gli intervistati hanno omesso la parte relativa alle indicazioni su dosi, grammi, volumi …

Dall’indagine emerge il ritmo sacrale nel tema della malattia che si confonde con la fatalità. La malattia è accettata con una forza a noi sconosciuta, quasi tutti, infatti, hanno risposto: se avevi male te lo tenevi…

Molti rimedi terapeutici traggono la loro efficacia “dall’identicità del male” che devono curare: il noto principio di simpatia. Esiste, cioè, un rapporto magico-simpatico tra i fatti naturali e quelli fisici o umani per cui gli uni influenzerebbero gli altri, “il simile richiama il simile”. La propria scelta terapeutica viene dunque basata sulla somiglianza di alcuni vegetali con certe parti anatomiche:
così quando si è di fronte ad una puntura di vespa, si crede che il dolore sia a causa di un ferretto velenoso che essa inocula, ed il rimedio per neutralizzare la ferita è una lama del coltello che si applica sulla parte lesa, parimenti una moneta di metallo; colui che soffre di geloni per liberarsene strofina del ghiaccio o della neve su di essi; ed ancora, è opinione diffusa che gli orecchioni siano un aumento del grasso nelle orecchie e, per somiglianza di tessuti e di organi, si curano applicando il grasso del collo di maiale alle parti gonfie; mentre, per far aumentare la secrezione lattea alle nutrici si raccomandano quegli alimenti che nel nome e nel colore richiamano il latte.

Se applicando la terapia “ufficiale-popolare” la guarigione stenta ad arrivare, è credenza diffusissima, nell’area oggetto d’indagine che la malattia derivi da fatti soprannaturali, non comprensibili, ed allora è necessario ricorrere a rimedi eccezionali quali al sapere di maghi e streghe, a preghiere misteriose, ad esorcismi, con quel senso di sacralità e di mistero caratteristico della scienza occulta - dove non tutti possono entrare - ed infatti, le persone intervistate hanno provato una certa riluttanza a parlarne, anche se non hanno negato il ricorso a tali pratiche:
innanzitutto per riconoscere se la natura del male sia di origine naturale o se creata per opera di qualcuno invidioso dell’altrui felicità, si ricorre all’artificio del malocchio: consiste nel versare qualche goccia di olio in una scodella di acqua ed osservare come essa si comporta nel liquido … se le gocce d’olio rimangono compatte non si tratta di qualche malefizio, se si spargono nell’acqua, a seconda della forma, si può risalire al sesso ed al luogo ove è stata “gettata la iettatura”… non conosco l’esatta formula che si sa recitare perché durante l’indagine tutti i protagonisti hanno ripetuto la stessa frase: “se vuoi sapere come si fa a togliere il malocchio devi ritornare la notte di Natale, perché chi te lo dice prima perde i poteri…”

Il mal di testa spesso è la patologia più difficile da capire, ed è usanza diffusa che derivi proprio dal malocchio. Per preservarsi da tale dolore si portano con sé, dentro un sacchetto, le ceneri del primo mercoledì di Quaresima. Si usa fare anche maniluvi e pediluvi con acqua calda e cenere.

Qualora la terapia popolare venga meno, nei casi disperati, si ricorre alla Vergine ed ai Santi, ciascuno dei quali è “specializzato” nella guarigione di qualche affezione. A ciascun santo è delegata una specifica funzione così, il 17 gennaio a S. Antonio abate la devozione popolare attribuisce la protezione degli animali e, per prevenire malattie ed incidenti, nelle tre sere precedenti la festa si recita il triduo in chiesa. La mattina della festa si celebra la messa solenne e si distribuisce il sale e il grano, da somministrare alle bestie in caso di malattia. Nel pomeriggio avviene la benedizione degli animali: è il parroco che si reca nelle stalle, in cambio ottiene un compenso in ricotta o in forma di cacio.
In tutta l’area di Castelluccio vi è una grande concentrazione di immagini votive, affreschi, un tempo anche una statua - oggi trafugata - dedicate a questo Santo e non è raro trovare la sua immagini appesa nelle stalle, con funzione di amuleto. Di particolare importanza è anche la cerimonia del 2 febbraio, conosciuta come Candelora, tutti i fedeli, dopo la funzione religiosa, riportano a case le candele benedette, che di solito vengono collocate sopra il letto. Chi possiede il bestiame le mette anche nelle stalle, affinché gli animali non siano colpiti dalle malattie. Pezzetti di queste candele venivano usate anche come supposte.

San Biagio - 3 febbraio- viene invocato contro il mal di gola.
Contro questo male di metteva al collo un fazzoletto con dentro la cenere calda

Sant’Anna - 26 luglio - è protettrice delle partorienti, a Castelluccio la gestante porta con sé una sua immagine per preservarsi dai parti difficili.
Numerose sono le prescrizioni durante la gravidanza:
per evitare che il bambino nasca con il cordone ombelicale attorno al collo, la madre non deve indossare nessun ornamento;
deve evitare di vedere persone o animali che possano impressionarla, altrimenti il bambino assumerà un brutto aspetto e, sempre per lo stesso motivo alla gestante è permesso soddisfare qualsiasi “voglia”;
per indovinare il sesso, se una donna ha un bel colorito durante la gravidanza, nascerà sicuramente un maschio, ovviamente, il contrario per la femmina. Anche dalla forma della pancia si ricavano buone informazioni se la pancia è aguzza il nascituro sarà maschio, se è tonda, femmina.
La notte di Natale, le mamme per premunire i figlioletti, realizzavano delle croci di stoffa che venivano cucite nelle fasce.

Per Santa Lucia - 13 dicembre- protettrice delle malattie agli occhi, a Castelluccio è usanza fare il falò nella piazza, realizzato con la legna raccolta dai ragazzi, casa per casa, recitando la filastrocca: “fraschi/chi, pè Santa Lucia, sennò te fa cecà la mejo gallina”. La cenere, considerata apotropaica, viene poi presa e portata in casa.
Per il male agli occhi si facevano degli impacchi di camomilla o bicarbonato.
L’orzaiolo si curava prendendo un chicco d’orzo ed usato a mo’ di ago si fa finta di “cucire” il rigonfiamento.

I rimedi quando il male è scrupolosamente accertato, sono molteplici
Anche le filastrocche, facili da ricordare e comprensibili a tutti, hanno capacità taumaturgiche, l’importante è trattenere il fiato.
Così, per l’elmintiasi, i vermi dei bambini, malattia tipica della prima infanzia, oltre ad intrecciare una corona di spicchi d’aglio - il migliore è quello colto nel giorno di San Giovanni - da mettere poi al collo dei fanciulli, si praticava la piombatura - da realizzarsi quando il fanciullo dormiva - che consiste nel prendere del piombo fatto sciogliere su una paletta da fuoco ben arroventata e poi buttato dentro una bacinella piena d’acqua, collocata sopra la pancia del bambino, appena il piombo si rapprende, a contatto con l’acqua, i vermi, automaticamente, spariscono dal corpo del fanciullo. È comunque necessario recitare le parole:
“la domenega de Pasqua, sti jermi se possano strùje commo lo sale sull’acqua”

febbre il primo accorgimento è quello di mettere al caldo il malato, poi mettergli sotto le piante dei piedi un mattone infuocato, o un piccione - perché è caloroso - spaccato in due, con lo scopo di far uscire il sudore.
Si strofinava anche la pelle con l’olio ferrato, pratica conosciuta come arroventare la febbre.

la polmonite meglio conosciuta come “puntura di petto” si cura con il salasso; le mignatte, sanguisughe erano portate a Castelluccio da un forestiero, ma alcune donne le andavano a prendere direttamente alla Fonte Nuova. Messe dentro una boccetta con l’acqua, che veniva cambiata tutti i giorni, all’occorrenza venivano poste nella parte che “punge”: perché è credenza che il sangue si formi nel luogo del dolore (la puntura) senza il salasso la fuoriuscita del sangue non può avvenire e quindi il pericolo è che questo salga al cuore, lo copra, portando alla morte.

per i reumatismi si schiaccia il midollo dell’osso di prosciutto fino a farlo diventare come una crema rancida che poi veniva spalmata sulla parte dolorante.
Altro rimedio era strofinare le foglie di ortica fresca, che riscaldavano il dolore, oppure si scaldavano nel camino pezze di lana di pecora con cui avvolgere la parte.

mal di denti e ascessi si curava con impacchi di malva, o mettendo un chicco di sale grosso sulla parte dolorante.

La malva per citare le erbe con proprietà medicamentose conosciute a Castelluccio di Norcia è tra quelle più usate, oltre per il sopra citato mal di denti, si ritrova in impacchi per le bronchiti; per i foruncoli come impiastro delle sue foglie fresche, mentre per guarire dall’otite si consigliava di far vapori di acqua e malva, in forma di decotto si consiglia per i dolori di stomaco.

Da queste poche righe emerge l’utilizzo di una medicina empirica, magicamente unita alla liturgia del rito, il ricorso a gesti semplici cui, ancora, gli abitanti anziani della montagna sono attaccati e che ritengono utili per curare i propri mali: chi è ammalato ricorre al medico solo nei casi più gravi, per i mali leggeri si adoperano rimedi empirici.
Se nell’esame curativo talvolta riscontriamo delle stranezze o delle superstizioni, non dobbiamo dimenticare che esse sono il frutto di una lunga pratica, confermata da secoli. E, come tale, va preservata dall’oblio del tempo. Ed il nostro compito diventa quello di dare il riconoscimento e validità ad una cultura che è tuttavia passata, perché le connotazioni storiche, economiche, sociali, sono cambiate.
 
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